The Dickens Galaxy (dickensian around the world)

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Thanks to the Rochester’s community for welcoming me to the recent Dickens Festival. I didn’t want to “invade” your wall with a long-winded post. but if you want, you can share it.Thank you for the commitment and passion you put into setting up that wonderful event, this is the reason that led me there specifically to attend the parade: Charles Dickens is not simply a novelist, Charles Dickens is a style, an impetuous artistic current. When my gaze turns to the shelves of my library dedicated to Dickens I perceive the vital buzz of thousands of lives that have passed the test of time. Dickens is one of the most precious gifts I have received in my life. When I think of Pip, Hugh, Ester, Sissy, Joe Gargery, I think of them as people and not as characters, because the power of a Dickensian creature is the vitality resistance to 200 years from its conception. So Pip is not an invention. Since my adolescence Pip is the friend I hoped to meet in my life, imperfect, impulsive, naive, fragile, human. When I was a child, my grandmother Laura set up a small home reception every year on February 7 during which some episodes were told from Dickens’ novels. We children used to play a performance with cardboard silhouettes of the characters drawn by my grandfather. Today I am an adult (since 2000 … DAMN) and I shared this tradition with the children of the current family. They are excited to celebrate the birthday of a gentleman born two centuries ago with a real cake and surprising stories! Dickens has always been in my life since I have memories and I can say that he will always be there for me. Thanks to Dickens I kept the childish feeling of magical expectation of Christmas which is renewed every year with the reading of “A Christmas carol” and every time on the night of December 24th after closing the book I am amazed because that infallible alchemy has worked once again. Around me under my Christmas tree I perceive the vibrations of that wonderful story that feeds my excellent mood for all the following holidays. I am happy to see how contemporary artistic expressions spread Dickensian culture. I believe that theater can and should still draw a great deal from Dickens because the intensity of some characters and their dialogues are perfect for the stage. Miss Havisham is one of the most complicated theatrical characters a woman could play. Often I need to relive a particular Dickensian scene, so I open the novel and thanks to the authenticity of those dialogues a world of images and emotions arise. I thank Dickens for being able to tell how in the most dramatic life there is room for the comic break and I thank him for showing the secondary characters. The person apparently in the shadow of the protagonists is capable of showing impetus of unforgettable personality. Thanks to Charles Dickens for his prolific creativity, thanks to anyone who today is committed to keeping his art alive and delivering it to the future. Thanks to all of you Dickensians, wherever you are in the world. Fax Mac Allister

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Un tè con la nonna (corretto al coming out) di Fax Mac Allister

In cinque anni non ho mai utilizzato i bagni del liceo per evitare di farmi una bevuta con la testa dentro il cesso, ed eccomi incollato al vetro del distributore di merendine con una mano che preme sul collo e un anfibio piantato nel culo…

Luglio 2002. Volo di linea South African Airways Johannesburg- London. Approfitto di una breve vacanza universitaria per tornare a casa. Ne farei a meno, ma i tempi sono maturi per compiere L’OPERAZIONE COMING OUT con il primo membro della famiglia…mia nonna Laura. Gli assistenti di volo hanno terminato di mimare le procedure di sicurezza. Da quando ho preso posto il bambino dal sedile posteriore sferra dei calci, piagnucola e chiede ai genitori -“Quando arriviamo? Quando arriviamo?”-
Suo padre lo ignora, legge una rivista maschile tutta testosterone dove carpire i segreti per durare più a lungo, trovare il punto G e sgonfiare le borse sotto gli occhi.
Sua madre lo rassicura -“Subito tesoro, arriviamo subito…”-
Ma come subito? Ancora non abbiamo decollato! Lui molla calci, si dimena e aumenta l’intensità dei gemiti. Lancio uno sguardo supplichevole a una hostess mentre il mio schienale rimbalza ai tonfi. Lei percepisce l’irritazione diffusa fra i passeggeri e porge un bicchiere d’acqua alla madre perché ne anneghi i lamenti. La donna fa per appendergli il bicchiere alle labbra, il bambino si divincola rovesciandosi l’acqua addosso e i pianti diventano fradici ultrasuoni da un centro di torture nord coreano. La signora seduta di fianco a me, una donna sulla sessantina in un tailleur rosa pallido da bomboniera sbiadita, fa cenno alla hostess di avvicinarsi e sottovoce le chiede

-“Sa se il bambino è malato o handicappato? Perché in questo caso nessuno più si lamenterà…”-
La hostess sussurra-“No signora, è solo un rompipalle.”-
La bomboniera aumenta drasticamente il tono vocale intimando -“Giuro su Dio che mi rimborsate il biglietto!”-
Alle nostre spalle, mentre l’aereo si posiziona sulla pista, QUEL -“Quando arriviamo? Quando arriviamo?”- “Subito campione, subito!”-
Imbrigliato dalla cintura di sicurezza allacciata mi volto e attraverso lo spazio dei poggiatesta mi rivolgo nervoso alla madre -“Perché fa così?”-
Lei, oltraggiata dalla mia invadenza -“Perché è un bambino!”-
-“No, perché LEI fa così? Perché gli dice che arriveremo tra poco?”-
-“Perché è un bambino! Cosa dovrei fare?”-
-“Dirgli la verità per esempio e dirgli che è un bambino che disturba!”-
Lei, rivolta a suo marito – “Ma che problemi ha questo?”-
Lui fa spallucce mentre continua a leggere la rivista testosteronica. Mi volto sconfortato, indeciso se urlare anch’io -“QUANDO ARRIVIAMO? QUANDO ARRIVIAMOOOO?”
I passeggeri mormorano, qualcuno sostiene non sia troppo tardi per farli scendere. Con la coda dell’occhio vedo la madre del bambino trafficare dentro una borsa da cui estrae un biberon. Verrà sedato? Niente, lui si contorce e piange in un sibilo che perfora il cranio. Digrigno i denti, stringo il bracciolo della poltrona, la passeggera di fianco ci tamburella nervosamente le dita. La hostess tenta un effetto placebo porgendo al bambino uno snack confezionato. Il padre adotta la strategia dell’invisibile come un’entità estranea al nucleo, forse ancora una pagina e il punto G sarà localizzato.
La madre declina spaesata -“No no, grazie! Abbiamo le nostre merendine.”- Il bambino si irrigidisce all’intervento dell’estranea, tre secondi di quiete e riparte aumentando l’intensità dei lamenti.
La hostess inarca le sopracciglia verso di me -“Ci ho provato…”-
Io porto le dita delle mani su entrambe le tempie e scuoto lievemente il capo -“Non mi faccia questo, 11 ore di tortura ad alta quota, NO!”-
Lei mortificata mi porge lo snack rifiutato da quel nano posseduto -“Tenga, se lo merita…”-
Io -“Grazie, ma non potrei sedermi altrove?”-
-“Mi dispiace, il volo è pieno.”-
Annuisco depresso. Osservo lo snack che mi ha appena donato. La vista del marchio dolciario scritto in un morbido corsivo riportato sull’involucro viola mi risucchia in un flashback di quattro anni prima nel Colinshire. Il mio naso, la faccia, sono compressi contro il vetro del distributore di bibite e cibi confezionati nell’atrio del liceo dove studio. Una scarpa pesante spinge contro il buco del mio culo. A tenermi immobilizzato sono tre coetanei che ciondolano nella stessa scuola e che da quando vi ho fatto ingresso mi apostrofano con un forbito elenco di titoli. Uno di loro si chiama Mimmo, ha origini italiane. Berenice Olivetti, l’insegnante di lingua italiana, come in un perenne derby idiomatico giocato fuori sede, ribadiva quanto l’italiano fosse superiore all’inglese per ricchezza di sinonimi. Aveva ragione. Mimmo padroneggiava quel patrimonio lessicale con disinvoltura. “Frocio, rotto in culo, succhia cazzi, pederasta, invertito, ciucciasborra, checca, pompinaro” erano solo alcuni dei sinonimi che attingeva dalla lingua di Dante per definirmi. Non mi aggiravo da solo per i corridoi della scuola, sapendo che avrei potuto incontrare lui o la sua camarilla. In cinque anni di liceo non ho mai utilizzato i bagni per evitare di farmi una bevuta con la testa dentro il cesso o leccare le sgommate di merda. Quel giorno commetto un’imprudenza e abbandono la classe per acquistare la merenda. Eccomi incollato al vetro del distributore di vettovaglie con una mano che preme sul collo e un anfibio piantato nel culo. Non distinguo nitidamente la scelta dei versi che Mimmo e gli altri due mi stanno declamando, è un magma di concitazione fosca, lo sputo che mi raggiunge, gli schiaffi sulla testa, l’alito esalato dentro le orecchie, le pulsazioni violente sulle tempie, il sudore che mi gronda dalla fronte aleggiano come in un altrove…Non sta capitando a me, non può succedere davvero. Tutto quello su cui mi concentro compresso contro il vetro è il marchio dello snack sullo scomparto numero 14 del distributore, lo stesso che tengo fra le mani sull’aereo.
Come allora, qualcuno mi prende a calci sorprendendomi alle spalle.
Decollo sopra una Johannesburg soleggiata. File di veicoli costipati lungo ampie autostrade rimpiccioliscono con le piscine nei giardini delle ville, colonne di fumo si sollevano da montagne di rifiuti, i grattacieli dei mall luccicano come i tetti di lamiera negli slam. Ogni bambino subisce il fascino dello spiccare il volo sopra cose e persone che si allontanano, il figlio di quei due NO. Cerco di concentrami sul logo dolciario morbidamente autografato ma non riesco più a isolare i molestatori come un tempo. Stringo nervosamente lo snack nella mano, l’aria contenuta nell’involucro scaturisce in una piccola deflagrazione.
Ancora un “Quando arriviamo, quando arriviamo?” E ancora un “Dai, subito amore, subito.”-
Slaccio la cintura di sicurezza, mi volto piantando le ginocchia sul sedile e invado lo spazio retrostante rivolgendomi direttamente a lui fissandolo negli occhi. Ha circa cinque anni.
Ignoro i suoi inutili genitori -“Ascoltami bene, tua madre ti ha detto una bugia. Non arriveremo fra poco. Ci vogliono 11 ore di viaggio. 11 ore sono tanto tempo e io ho tanto bisogno di stare calmo.”-
Lui mi osserva istupidito dimenticando di chiudere la bocca.
Incalzo -“Sto andando a casa, devo dire a mia nonna che sono fidanzato con un maschio, ma mia nonna forse si arrabbia e allora io non ce l’avrò più una casa, e a Natale, pensa a Natale, tu riceverai un sacco di regali bellissimi ne sono sicuro, mentre io sarò da solo in una strada senza le scarpe o rinchiuso in un brutto ospedale ungherese dove NON ci si fidanza con un maschio.”-
Sua madre inorridita -“Ma cosa…?”-
Io- “Solo un attimo signora.”- Poi, nuovamente rivolto a lui
-“Me lo fai tu ora un regalo di Natale in anticipo? Puoi stare buono, senza calci, senza urla, così io penso alle parole giuste per non fare arrabbiare mia nonna? Pensa al Natale…Puoi?”-
Lui ancora con la bocca aperta e gli occhi sbarrati annuisce. Io, riconoscente -“Grazie!”-
Mi accomodo e allaccio la cintura di sicurezza ignorando chiunque, poi sento il bambino -“Mamma, ma quand’è Natale?”-
Lei- “Tra poco tesoro, tra poco…”-
La turbolenza sembra placata. La hostess mi fa un occhiolino e si accomoda. La bomboniera di fianco – “Grazie a lei, e buona fortuna con sua nonna…”-
È giunto il tempo per gustare il mio dolcetto dallo scomparto 14 oltre il vetro.
Castello di Gardar nel Colinshire. Immobile nell’androne osservo dalla base della scalinata la porta sulla cima. All’estremità della rampa, segmento di congiunzione con il nostro alloggio, l’appartamento di mia nonna. Laura Mac Allister, custode del castello, visceralmente fedele alla Corona Britannica, radicalmente protestante anticattolica. Sulla parete sinistra Enrico VIII mi osserva imbolsito dentro la cornice, l’orologio olandese a pendolo batterà dalla parete destra cinque rintocchi entro tre minuti. Allo scoccare delle ore, sulle note della melodia Westminster, il meccanismo metallico anima un omino che regge sulle spalle il globo terrestre. Da quando sono nato, se un fardello appesantisce il mio spirito, quello è il segnale per salire la scalinata e destinarlo a una collocazione di alleggerimento. Si sono arrampicate negli anni lungo quella rampa le mie crisi famigliari, scolastiche, sociali, esistenziali e religiose. Mai prima di adesso interrogazioni sentimentali o sessuali. Laura Mac Allister faceva dell’autocontrollo il suo motivo dominante, menzionava degli aneddoti millenari provenienti dalla Royal Family adatti a ogni occasione, monito per una condotta irreprensibile. Esiste un aneddoto per me sull’amore fra maschi dal Casato di San Giacomo? Mi decido a salire, il palmo della mano sudata lascia un alone umido sul corrimano. I passi riverberano grevi nel vestibolo. Una voce improvvisa mi fulmina alle spalle
-E tu dove stai andando SIGNORINA?”-
Io, sopraffatto dalla colpevolezza mi volto -“Mamma! Chi te lo ha dett…”-
Mia madre mi guarda dubbiosa, poi vedo una vaporosa coda di pelo infeltrito ai miei piedi e capisco che si sta rivolgendo a Bleach, la gatta che mi ha seguito sulle scale.
Io- Ah, lei!”- Sollevo la gatta e gliela consegno -“Eh sì…tu non puoi venire qui…SIGNORINA.”-
Mia madre -“Vai dalla nonna?”-
-“Per un tè.”-
-“In jeans? Non sei troppo sportivo?”-
-“No, è una cosa informale…”-
-“Tua nonna non è mai informale.”-
Si ritira con la gatta in braccio chiudendo la porta del nostro quartierino. Mi accascio sulla balaustra facendo il possibile per non cedere a un infarto, asciugo la fronte madida con la manica. SIGNORINA! Non posso andare avanti così.
È Bessy ad accogliermi e condurmi nel drawing room. Donna di mezza età, governante, dama di compagnia, cuoca, cameriera, sarta, parafulmine, amica della nonna. Bessy, suo malgrado, è il retaggio della cultura aristocratica pedestre del Colinshire, afflitta da complesso di emarginazione, sostenuta da chi non si è arreso all’idea di abitare l’estrema periferia del Regno; ancorata a protocolli e rituali tediosi dimenticata dallo stesso Regno.
Mentre dispone su un piccolo desco il servizio da tè, i vassoi con un pasticcio di carne, del pane imburrato e delle uova, mi rassicura -“Lady Mac Allister è nel suo studio, la raggiunge subito, si accomodi intanto.”-
-“Grazie Bessy.”-
-“La Rhodesia le giova signorino Mac Allister, ha un ottimo aspetto!”-
-“Questo fa bene all’autostima ma comincio a perdere i capelli, comunque abito in Sudafrica!”-
-“Ma sì, una di quelle porzioni dell’Impero…”-
Evito di puntualizzare che il Sudafrica si è affrancato dal dominio coloniale da qualche decennio e che la Rhodesia oggi sarebbe lo Zimbabwe.
La stanza è pervasa da un profumo di agrumi, dalla finestra aperta del bovindo una corrente fresca oscilla vigorosamente la tenda drappeggiata. Mi chino davanti al camino decorato, ogni piastrella raffigura una sequenza dalle Due Guerre di Copenaghen per celebrare la duplice vittoria della Royal Navy.
-“A quando l’ormeggio?”- La voce di mia nonna mi distrae dalle reminiscenze piastrellate.
Veste un abito turchese plissettato su cui è appuntato l’emblema della Fondazione Dickens, il geranio rosso. La sua ritta alterigia è ingentilita dall’azzurro degli occhi malinconici e dall’abitudine al sorriso. Bessy assicura con dei nastri di velluto le estremità delle tende, gonfie come le vele di un piroscafo.
Saluto la nonna con un bacio. Ci accomodiamo sulle poltrone davanti al deschetto imbandito.
Azzardo un’iniziativa -“Lasci fare a noi Bessy, ce la caveremo.”-
La nonna intuisce che preferisco rimanere solo con lei e la congeda. Maneggiando la teiera mi dice -“Perdonami per l’attesa, una telefonata imprevista di Dorothea Wingfield…”-
Io -“Dorothea Wingfield è ancora viva?”-
-“Attento! Dorothea Wingfield è più giovane di me… Ora puoi farmi il tuo complimento.”-
-“Complimento?”-
-“Perché dimostro meno anni di lei.”-
Io, ruffianissimo -“L’ho sempre pensato!”-
Lei fingendosi lusingata -“Lo so! Dicevo, Dorothea è tutta fremiti e sghignazzi perché sua figlia convola a nozze con un conte danese. Mi ha rammentato che custodisco un castello, ma sua figlia abiterà in una magione di proprietà. Peccato che Bernetta Kennedy mi abbia confidato…”-
Io esclamo interrompendola-“Bernetta Kennedy…”-
Lei irritata- “Sììì, Bernetta è ancora viva!”-
-“Ma no, volevo dire, Bernetta Kennedy ha ancora quell’alito che stende i cervi?”-
-“Non essere irriverente! A ogni modo sì, povera Bernetta, il suo fiato è pestilenziale, e dire che spende una fortuna per quelle miscele eupeptiche indiane. Comunque Bernetta mi ha confidato che lo sposo è un signore sulla sessantina e che a giudicare dalla circonferenza del suo addome apprezza i biscotti al burro locali. Il titolo acquisito dalla figlia di Dorothea Wingfield è quello di contessa del West Grønland.”-
-“Che cosa affascinante! Governeranno su quella contea?”-
-“Come no! Una porzione di artico completamente spopolata a 40 gradi sotto zero.”-
Chiudo gli occhi avvicinando la tazza al mio naso, inebriato dall’aroma agrumato del tè.
La nonna -“È un infuso di scorze delle arance eritree…”-
Incalzo -“Da Keren!”-
-“Precisamente. Dimmi, hai saldato regolarmente la quota associativa al Dickens Fellowship?”-
-“Sì, nonna, l’ho fatto.”-
-“Bene! E ti viene recapitata puntuale la rivista in Sudafrica?”-
-“Direi di sì…”-
-“Ottimo! Perché sul prossimo numero del The Dickensian leggerai un mio editoriale.”-
-“È meraviglioso!”-
-“Sì, ho ricevuto un invito ufficiale dal Consiglio di Rochester per Settembre. Ma ora basta, raccontami tutto di te.”-
Io, secco -“Sono gay.”-
Lei posa la tazza che approssimava alle labbra -“Intendevo qualcosa che non so.”-
Io ripongo rumorosamente la tazza sul piattino -“Tu lo sapevi?”-
-“Perché, tu no?”-
-“Beh, io…”-
-“Oh ma per favore Fax!”-
-“Allora perché non me lo hai detto prima?”-
-“Prego?”-
-“Mi avresti alleggerito di un peso enorme!”-
-“Cosa avrei dovuto dire: guarda il giardiniere che bel virgulto, non fareste una bella coppia?”-
Io, stupefatto -“Sai anche del giardiniere?”-
-“Cielo, no, era un esempio! Cosa diavolo hai combinato con il mio giardiniere?”-
-“Non è questo il punto! Hai idea di quanto sia stato difficile non poterne parlare con nessuno in questo posto disperato? E tu lo sapevi!”-
-“No ragazzo, questo non te lo concedo, non puoi pretendere che sia io a rivelarti chi sei e chi ami.”-
-“Nonna, io mi sono sentito così solo per anni! Lo capisci?”-
-“Sì lo capisco. Da anni salite una rampa di scale, così io mi trovo a gestire la depressione di tua madre, i problemi economici di tuo padre, la dislessia di tuo cugino, il tradimento di tuo nonno. Pensi che abbia lottato casualmente contro i tuoi genitori per convincerli a iscriverti in un college nell’emisfero australe? Vedevo che annaspavi sì, e immaginavo che il Sudafrica, così lontano e diverso, ti avrebbe salvato dall’annegamento esistenziale. Dov’è la mia rampa di scale? Quella verso cui io possa trovare le risposte e il conforto?”-
Sussurro avvilito -“Scusami…”-
Lei inspira profondamente volgendo lo sguardo verso la finestra aperta.
Le chiedo -“Sei infelice nonna?”-
Calma, volta all’esterno -“Sono stata felice, mi considero fortunata.”-
-“Ti ho delusa?”-
Riporta lo sguardo verso me accennando un sorriso -“Direi proprio di no.”-
-“Anche mamma e papà lo sanno?”-
-“Penso di sì, ma fingono di non saperlo…fingono male. Sono cattolici, dobbiamo capirli oltre a compatirli. Afflitti e colpevoli per essere al mondo. Quando eri piccolo biasimavano le tue stranezze, allora gli ricordavo, battezzate vostro figlio con il nome Fax e pretendete un cristiano sobrio? Ma io amavo le tue stranezze, e anche loro dopo tutto, ne sono certa.”-
-“Io non ne sono così certo.”-
-“Anche io mi adiravo con Fred per le sue follie. Lo crescevo come un gentiluomo, ma lui tornava con gli abiti strappati per aver saltato le staccionate o ferito per una sfida di tiro alla fionda. Gli rinfacciavo di essere la mia delusione e dicevo che lo avrei sostituito con i figli delle mie amiche. Potessi riportarlo in vita per sentirgli raccontare quella sassaiola, non rinuncerei a una delle sue follie. I figli non ci appartengono e non sempre ci somigliano, ma non rinunciamo a loro senza pena.”-
Il peso emotivo mi sta opprimendo, il mio coming out si è trasformato in un campo di mine inesplose. Trovo insopportabile l’idea che lei sia infelice.
La nonna lo intuisce e smorza -“A proposito, i tuoi genitori non versano la retta a un prestigioso ateneo perché ti esprima come un programma televisivo scadente.”-
-“Cosa ho detto?”-
-“Quel termine con cui ti saresti definito…”-
-“Gay?”-
-“Appunto! L’unico legittimato a presentarsi così è Walter Gay, il nipote di Solomon Gills della Wooden Midshipman. Nel tuo caso cosa vorrebbe significare?”-
-“Quello che sono!”-
-“Tu non sei affatto QUELLO e non mi piace che ne faccia un biglietto da visita. Sei un giovane uomo pieno di qualità e di esperienze. Vivi, lascia che le persone scoprano tutto di te, anche quell’aspetto, non solo quello.”-
-“Ma come avrei dovuto comunicartelo?”-
-“Beh, per esempio, il campus è un luogo pieno di studenti dal mondo, il ragazzo che frequento è un rispettabile canadese di origini scozzesi…”-
-“Lui non è affatto un canadese e come sai che c’è un ragazzo?”-
-“Hai vent’anni, è ovvio che ci sia un tormento sentimentale…spero con un soggetto rispettabile, pur non canadese.”-
-“In realtà, pur non canadesi, sono due i soggetti.”-
-“Fax! Hai forse preso residenza in Primrose Hill? Non costringermi a ritirare la tua iscrizione al college.”-
-“Ma no, ho una storia con un ragazzo sudafricano, però vibro per lo studente nigeriano dell’alloggio sopra il mio.”-
-“È orribile che tu stia con il sudafricano e pensi al nigeriano.”-
-“Tranquilla, sono fedele…Il ragazzo nigeriano è eterosessuale.”-
-“Giovanni Senza Terra! I tuoi tormenti sentimentali sono disastrosi!”-
-“Lo so, ma lui non perde occasione per rimanere a torso nudo! Dovresti vederlo dopo aver fatto jogging quando si sfila la canottiera e…”-
-“Devo rammentarti che sono tua nonna e che stiamo consumando un tè pregiato?”-
-“Vedo anche un pasticcio di maiale su questa tavola…e ti assicuro nonna, quel nigeriano è un grosso pasticcio. Quanto al maiale…”-
-“Può bastare! Per te niente pasticcio. Pane imburrato o un uovo…sodo? Tutto suona così equivoco.”-
Sta succedendo davvero, rido con la nonna dei miei sussulti ormonali per Enoch, il nigeriano palestrato. Scelgo di omettere qualche dettaglio, come l’età del sudafricano che frequento più adulto di quindici anni. Non le racconto di aver indossato il kilt che lei mi ha fatto confezionare per soddisfare una fantasia del mio ragazzo in un boschetto di jacarande.
Due ore dopo faccio per congedarmi, quando lei
-“Appurato che ribolli come qualunque ventenne, ti esorto all’autocontrollo Fax. Il talamo nuziale del Duca di Clarence si era rivelato un capezzale a causa della sua concupiscenza, PRIMA dell’incoronazione.”-
-“Tranquilla nonna, custodirò lo scettro.”-
-“Per non citare l’onta che travolse Lord Montagu, affascinato dalle divise militari della RAF.”-
-“Come dargli torto?”-
-“Non di meno l’affollamento coniugale di Lord Mountbatten che ci costò l’India…”-
-“Ti prometto di non minacciare Gibilterra con l’elastico delle mie braghe!”-
Reclina il capo accigliata, ma io sono sereno e soddisfatto. Non uno, TRE aneddoti dagli annali Royals! Il mio coming out è ufficialmente una normale questione di famiglia protocollata dal suo membro più autorevole.
Prima di salutarla propongo -“Io non so indicarti una rampa di scale verso cui salire per il conforto, ma se domani pomeriggio vuoi scendere gli scalini verso di me, ti aspetto per una passeggiata lungo la scogliera di Prince George.”-
Lei, sorridente -“Molto volentieri.”-
Volo di ritorno per Johannesburg. Trovo nella tasca del bagaglio una piccola busta da lettera contenente un biglietto “Scegli sempre, Fax. Scegli chi e dove vuoi essere. Una scelta mancata si rivela nel tempo più dannosa di una decisione errata. Sii folle(mai stupido)ma sopravvivi alle tue follie per poterle raccontare i giorni successivi. La nonna Laura”.
“Un tè con la nonna (corretto al coming out)” tratto da “A life in a Fax” di Fax Mac Allister
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