AVERE LE PALLE

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“Rhoger Preston è uno con le palle grandi così”. Lo dicevano tutti nel Colinshire.
Rhoger era l’oste del Colin’s Head, la mescita del villaggio di Gardar.
Tutte le volte che ascoltavo la sentenza “Rhoger Preston è uno con le palle grandi così” prestavo attenzione alla mimica del fine oratore, sperando quantificasse con un gesto delle mani quanto grandi potessero essere queste palle di Rhoger.
“Avere le palle, tirare fuori le palle, averle quadrate, mi cadono le palle.”
Da che ho memoria mio padre asserisce che il valore di un uomo, in quanto rappresentante del genere maschile, si stima in base alla resistenza dei suoi testicoli. Pertanto mi preoccupavo di essere dotato del campionario.
Appena sveglio, sotto le coperte del baldacchino in palissandro, arrischiavo la mano oltre l’elastico dei pantaloni del mio pigiama, poi travalicavo quello delle mutande per sincerarmi della presenza di due testicoli. Appurato ci fossero entrambi, collocati dove li avevo lasciati la sera prima, mi autorizzavo a uscire dal letto.
Era successo al frutteto della zia Jane in Zimbabwe, un’epidemia di carpoptosi aveva afflitto il pomario. Le mele acerbe si erano schiantate al suolo. E se fosse capitato anche a me?
Mi immaginavo nell’inconsolabile angoscia alla ricerca delle due gonadi sul pavimento, sotto il letto e fra le pieghe delle lenzuola decorate con le avventure dell’orso Paddington. Poi, non trovandole, mi sarei chiesto entro quanto tempo i miei genitori lo avrebbero scoperto, e che cosa se ne sarebbero fatti di un figlio senza palle.
Molti meli nel frutteto della zia Jane, erano stati abbattuti.
Assimilavo tutto tragicamente alla lettera quando ero bambino e i miei genitori, inconsapevoli, mi terrorizzavano con spaventose minacce. A sei anni non sapevo fare il fiocco alle stringhe delle scarpe.
Se mio padre mi sentiva domandare aiuto, commentava -“ Stai per partire a fare il militare e ancora non te le sai allacciare da solo.”-
Per quanto ne sapessi lui parlava seriamente. Suggestionato da crude sequenze belliche trasmesse dai telegiornali, ammutolivo depresso all’idea di dover raggiungere il fronte. Con un mitra sotto braccio, abbandonato in un inferno di esplosioni polverose e urla concitate, imploravo ai commilitoni – “Qualcuno mi allaccia gli anfibi?”-
E brandelli delle mie interiora saltate per aria sferzavano il viso dei militari trincerati che, terminato il conflitto, avrebbero consegnato a mia madre solo un paio di piedi mozzi infilati in due stivali. Slacciati.
“La caduta delle palle” era una delle questioni più serie, un incubo ricorrente che scongiuravo addormentandomi con la mano dentro le mutande, qualora si fossero svitati i testicoli.

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Autore: Fax Mac Allister

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